Alberto Castoldi
Alberto Castoldi ci ha lasciati cinque mesi or sono: venerdì 19 aprile del 2019 all’età di 77 anni.
È con animo profondamente commosso che ho l’onore di commemorarlo in questa sede da lui tanto amata.
Non intendo soffermarmi nel dettaglio sulla sua straordinaria produzione scientifica che, dal 1967 al 2018, conta circa duecento pubblicazioni, una bibliografia che via via ricostruiremo integralmente, grazie alla disponibilità e alla pazienza della moglie Maria Rosa Faliva Castoldi.
Non intendo neppure ripercorrere la sua altrettanto straordinaria carriera accademica che lo conduce a ricoprire il ruolo di Rettore dell’Università degli Studi di Bergamo dal 1999 al 2009.
Alberto Castoldi amava l’Università, amava studiare e lavorare in Università, con una curiosità onnivora. Era sempre l’ultimo ad uscire, verso le nove di sera, e poi continuava a casa. Diceva che a partire dall’una, nel silenzio della notte, leggere, prendere appunti, scarabocchiare e scrivere, “giocare con le idee” – come lui sempre ribadiva in omaggio a Diderot – gli risultava particolarmente congeniale. Di questa consuetudine, ben prima di approdare a Bergamo (1981), la sua città natale, testimoniano i colleghi e gli amici che lo hanno conosciuto delle Università di Bari (1971-1981) e di Ca’ Foscari di Venezia (1975-1976).
Gli studi attorno all’Immaginario hanno sempre caratterizzato la prospettiva scientifica del saggista Castoldi, all’avanguardia in questo settore e che, al riguardo, ha creato una Scuola nazionale e internazionale. Marco Belpoliti, in occasione della perdita di Alberto Castoldi, scrive:
«La prima volta che mi sono imbattuto nel nome di Alberto Castoldi è stato leggendo un libro di André Chastel, La grottesca pubblicato nel 1989 in una collana di Einaudi oggi scomparsa, che conteneva saggi straordinari di Camporesi, Kafka e Calvino. Lo storico dell’arte francese lo citava [...] attendevo con interesse l’uscita dei suoi libri, come ho fatto negli anni seguenti prima di conoscerlo di persona. Era avvenuto in una conferenza dedicata a Italo Calvino [...] Mi colpì la sua persona e lo stile assertivo accompagnato a una certa timidezza, e persino ritrosia; ritrovavo nel suo modo di fare, da professore, lo studioso eccentrico che avevo conosciuto nelle pagine di quei libri: una forma d’essere congeniale agli studi che aveva condotto. L’ho frequentato negli anni seguenti e sono finito a insegnare nella Università che lui aveva inventato a Bergamo e di cui era il rettore. La sua figura istituzionale, in apparenza così lontana dalle cose che scriveva, era invece tutt’uno con l’irregolarità dei suoi argomenti e temi d’indagine, e culminava in una propria forma di manierismo che ho sempre ammirato. [...] Castoldi ha il piacere di rovistare tra i robivecchi della modernità, nelle pattumiere delle discipline, alla ricerca di motivi e figure che possono gettare nuova luce su quel continente misterioso, senza-nome, che per farsi intendere egli definisce con un termine freudiano, “il perturbante”. In questo è stato preceduto da grandi maestri della nostra saggistica (Mario Praz e Giovanni Macchia) e da personaggi eccentrici e bizzarri (Caillois, Focillon, Baltrušaitis), che, salvo rare eccezioni, non sono entrati ancora a pieno titolo nelle storie letterarie e culturali di quelle discipline che hanno praticato in modo indisciplinato.»
Personalmente, io, per questa commemorazione, inseguo una suggestione dalla sua ultima opera, Epifanie dell’informe (Quodlibet, Macerata 2018). Emerge un capo di quel fil rouge che ha attraversato tutto il suo impegno intellettuale: la ricerca, nel santuario fantasmagorico della memoria, delle vestigia, delle tracce o, meglio ancora, delle pieghe di quell’ineffabile Altro, la cui presenza si manifesta proprio nella forma dell’assenza, irriducibile a qualunque definizione, sfuggente a ogni formalismo. Una presenza misteriosa, inquietante, che ha affascinato la letteratura e le arti di ogni tempo, e attorno alla quale la scienza stessa ha condotto le sue indagini. È il mistero dell’altrimenti inconoscibile che si rivela, del silenzio che si fa parola, dell’invisibile che si fa materia. Come scrive Alberto Castoldi alla pagina 14 di Epifanie dell’Informe:
«L’immaginario consiste da sempre nel tentativo, tramite i più diversi procedimenti narrativi, di abitare in un mondo inteso come indefinita possibilità di senso, di prendere coscienza di sé e di comunicare con gli altri, proprio grazie al potere universalizzante della narrazione, che dà forma all’Informe. Le sue epifanie sono icone del possibile».
Un paradosso, questo, che Alberto Castoldi ha saputo “incarnare” nella sua vita. La consapevolezza che la realtà è irriducibile a sé stessa, al proprio status quo, ma è sempre tesa verso una forma mai pienamente raggiunta, e che lo ha portato a plasmare continuamente ciò che lo circondava, con coraggiosa lungimiranza, nella consapevolezza che qualunque traguardo costituisse in realtà soltanto una tappa del cammino. Ogni passo compiuto è sempre stato soltanto la premessa del passo successivo, in una corsa verso nuovi obiettivi, ai quali tuttavia era consapevole che non si può né si deve giungere da soli o per sé stessi, ma nel dialogo schietto, aperto e rispettoso, nell’intreccio delle competenze, nella contaminazione positiva dei saperi, secondo il modello di un umanesimo contemporaneo.
Franca Franchi