Ricordo di Mario Mormile
(Napoli, 1916 - Roma, 1999)
Nel ripercorrere l'itinerario scientifico di Mario Mormile non si può non notare la ricchezza di interessi umani e culturali che ha caratterizzato una personalità in cui convergono lucidità, equilibrio, attenzione genuina per la ricerca. Qualità rare stimolate dal contatto in giovane età e per circa un ventennio con l'ambiente francese e affinate successivamente in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove si reca dopo aver vinto una borsa di studio Fulbright per la linguistica. La sua predilezione per il secolo dei lumi non è forse una testimonianza della sua anima cosmopolita? E il suo atteggiamento riservato, quel self control, emanazione di un fine spirito di impronta britannica, non coesisteva forse con una cordialità misurata da gran signore napoletano che lo ha sempre circondato di manifestazioni di simpatia?
Partito da orizzonti genericamente letterari - laurea all'Università di Roma in Lingue e letterature straniere, assistente per alcuni anni di letteratura francese presso l'Istituto Orientale di Napoli - si è ben presto confrontato con i problemi concreti inerenti all'insegnamento della lingua, rivolgendosi con due scritti metodologici Eléments de phonétique statique française, del 1956, e Ortofonia e ortografia della lingua francese, pubblicato nel difficile maggio 1968, a quel pubblico fluttuante, ma non per questo sconosciuto, costituito dagli studenti universitari. La libera docenza in Lingua francese gli apre le porte della Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Roma, dove ottiene un incarico di insegnamento proseguendo nella sua opera di spoglio sistematico della terminologia specialistica relativa alla lingua degli affari, destinata anche al mondo professionale. Il Dizionario commerciale italiano-francese e francese-italiano, edito contemporaneamente in Italia e in Francia nel 1978, costituisce il risultato di questa ricerca. Se per qualche tempo tiene anche un corso ufficiale alla Facoltà di Lettere di Salerno, passa poi nel ruolo ispettivo per le lingue straniere presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Nominato professore associato nel 1980, afferisce nel 1983 al Dipartimento di Scienze del Linguaggio che riunisce docenti dell'area linguistica appartenenti alle facoltà di Economia, Lettere, Scienze, Scienze politiche. Il mio incontro con Mormile avviene in quest'ambiente particolarmente stimolante dove nascono e si realizzano diversi progetti di ricerca. Nel 1986 appare il saggio Storia polemica tra italiano e francese in cui la tensione intellettuale derivante dalla disputa, di natura etnocentrica, sulla pretesa «superiorità» dell'italiano o del francese, diventa pretesto per approfondire i rapporti culturali tra Italia e Francia.
Mario Mormile va infatti ricordato soprattutto per il notevole contributo dato agli studi storici: egli ha sempre concepito la storia dei movimenti linguistici come un'interrogazione, cercando di capire e di far capire, in uno stile persuasivo e coinvolgente, le ragioni teoriche e pratiche dell'adeguamento del lessico in epoche di grande cambiamento come quella che precede o segue la Rivoluzione. E se la trattazione di alcuni temi può sembrare settoriale, il quadro di riferimento lascia intravedere un progetto preciso di ampio respiro. Così nel volume Desfontaines et la crise néologique, del 1967, viene affrontata la questione della perfettibilità della lingua attraverso il Dictionnaire néologique à l'usage des beaux esprits du siècle, che tentava di imbrigliare un'innovazione lessicale sfrenata inaugurando un nuovo genere di critica corrosiva, mentre nell'articolo «L'attitude de l'abbé d'Olivet dans la question des auteurs classiques», del 1969, Mormile valuta le argomentazioni di un purista intransigente che rifiuta di riconoscere l'idea di autori come modelli di lingua, influenzando, almeno nella prima metà del 700, le decisioni dell'Académie sull'introduzione di citazioni nel Dizionario. In particolare nella ineccepibile «Néologie» révolutionnaire de Louis-Sébastien Mercier, del 1973, l'autore non si preoccuperà soltanto di esaminare l'opera di rottura compiuta dal Mercier giornalista, traduttore e poligrafo, che cerca di imporre una lingua continuamente rinnovata, rimproverando all'ideologia di Condillac, basata sulla coincidenza tra lingua e pensiero, di aver dimenticato l'intuition, ma preciserà in che modo alcuni principi chiave della creatività lessicale - analogia, necessità, eufonia - recepiti nel '500 e nel '600 per contenere l'espansione della lingua, vengano utilizzati da grammairiens-philosophes come Domergue, da polemisti della taglia di Linguet o anche da lessicografi prudenti, ma innovatori come l'abbé Féraud, per consentire un'evoluzione che si identifichi con il progresso de l'esprit. Le riflessioni di Mormile sulla dottrina di Mercier in difesa della «legittimità» della neologia, condotte puntualmente e senza approssimazioni su testi manoscritti conservati nella Bibliothèque de l'Arsenal, ci guidano attraverso percorsi spesso tortuosi chiarendo le affinità e le divergenze con gli altri néologues e rievocando una memoria collettiva che si iscrive nell'esistenza concreta del linguaggio. Non può sorprendere che una ricerca così approfondita, portatrice di punti di vista originali sulla storia linguistica e culturale francese alla fine del Settecento, abbia ottenuto nel 1974 il premio dell'Académie, riconoscimento che toccherà anche al volume Voltaire linguiste et la question des auteurs classiques, del 1982. Per queste analisi erudite e feconde, ma mai pedanti, Mormile sembra più apprezzato oltr'Alpe che in Italia, dove non otterrà quella cattedra di prima fascia che avrebbe degnamente ricoperto.
Nella stessa prospettiva di una storicità integrata all'attività linguistica si colloca l'importante saggio del 1993 che mette in giusta luce il misconosciuto lessicografo Pougens, vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento, autore di un Vocabulaire de nouveaux privatifs français, prima raccolta del genere, e ideatore di un Trésor des origines et Dictionnaire grammatical raisonné de la langue française, opera incompiuta, ma ricchissima di accezioni e di esempi, di cui la biblioteca de l'Institut de France conserva 150 volumi, utilizzati a piene mani dal Littré per la redazione del suo Dictionnaire de la langue française. L'interesse per la diffusione della lingua italiana all'estero rappresenta un altro importante filone di ricerca che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni dell'attività scientifica di M. Mormile. Il volume L'italiano in Francia, il francese in Italia del 1989, in cui l'ottica comparativa appare preminente, focalizza il problema dei contatti linguistici tra due paesi culturalmente vicini, considerando sistematicamente, dal Rinascimento al primo Ottocento, un vastissimo corpus di testi destinati alla didattica, alcuni con numerose riedizioni, e un certo numero di autori che operano sui due versanti. Oltre all'originalità di svolgere un'indagine parallela, l'autore offre un quadro analitico che delinea il rapporto tra teoria e pratica, tra tendenze pedagogiche e materiale grammaticale e tiene conto delle esigenze culturali cui rispondono le singole opere e le varie categorie di pubblico cui sono destinate. La consultazione del repertorio cronologico testimonia l'arduo lavoro di reperimento e di selezione, compiuto in biblioteche italiane e straniere, di opere grammaticali concepite per un insegnamento individuale, non ancora istituzionalizzato.
La curiosità intellettuale non abbandona questo specialista della diacronia che ha lasciato l'insegnamento. Tutto ciò che è inesplorato lo appassiona ancora, tanto che, nel tentativo di scoprire e riabilitare documenti considerati per lungo tempo marginali, si lancerà nel «labirinto» lessicografico, seguendo l'evoluzione dei dizionari italo-francesi dal '500 a tutto l'Ottocento. Se lo studio pubblicato nel 1993 appare complementare a quello del 1989, Mormile delinea nel 1997 un altro quadro storico-critico delle grammatiche italiane pubblicate in Gran Bretagna, che si ricollega alla sua visione internazionale della cultura ed è favorito da una profonda conoscenza dell'inglese. L'esame dei manuali si ferma alla fine del '700; il volume successivo riguardante l'800, annunciato nell'introduzione ed ultimato dall'autore, dovrebbe uscire tra breve a cura della prof. Riccarda Matteucci, docente di Lingua inglese nelle scuole secondarie superiori, che ha collaborato all'indagine precedente, ne può raccogliere degnamente l'eredità e ci farà sentire ancora una volta la presenza attiva di questo fecondo studioso.
Ho accennato all'inizio a un genuino interesse per la ricerca, indipendente da opportunismi concorsuali o contingenze mondane e ad un vivo senso della storia. Non sembri quindi un'espressione retorica aggiungere che Mario Mormile ha dedicato tutta la vita alla scienza del linguaggio, non solo perché ha indicato ai giovani studiosi nuove vie da seguire, fornendo adeguati strumenti di analisi, ma perché è stato linguista nel senso pieno del termine. Tra i vari oggetti osservabili ha preso coscienza, prima di altri, dell'importanza del processo neologico, approfondendo la tensione tra vecchio e nuovo in epoche di crisi intellettuale e inserendo la querelle sur les mots nella trasformazione dei rapporti sociali.
Commemorazioni
Francesca Cabasino